Siracusa, Orto Buonavia, ex Giardino Spagna.
La statua fu trovata dal gentiluomo siracusano Saverio Landolina, appassionato cultore di cose antiche “anticaglie”. Nelle lettere entusiaste con cui nell’immediatezza del fatto annunciò la scoperta si dice che, la statua della Venere “era seppellita tra dieci pezzi di colonne che l’avevano mutilata”.
La scoperta della Venere di Siracusa avvenne, come scrive nel 1824 Mario Landolina figlio di Saverio, nella proprietà di Don Giuseppe Massuti. Nel catalogo del Museo redatto da Antonio Sogliano nel 1876, quest’area è detta “giardino Buonavia oggi Spagna”. La statua era stata probabilmente realizzata per arricchire il ninfeo dell’edificio termale che nel 1804 Saverio Landolina mette in luce, incrementando così la collezione archeologica dell’antica colonia greca di Siracusa di un “gioiello” che la riporta agli albori del suo antico splendore. A quell’epoca la città si trovò al centro degli interessi di quanti, dagli studiosi ai comuni cittadini, interpretarono come una grande fortuna la presenza di quest’opera d’arte e nonostante il tentativo del principe di Cutò, Luogotenente generale in Sicilia, di trasferire la Venere a Palermo, questi fatti portarono alla realizzazione del Museo Patrio, poi Museo Archeologico Nazionale, voluto per Lei e inaugurato nel 1811.
Figura femminile nuda dalle dimensioni al vero, leggermente ruotata a sinistra con la gamba destra appena flessa al ginocchio; la testa mancante, doveva essere volta a sinistra con i capelli raccolti sulla nuca, così come nel modello dal quale l’artista che l’ha scolpita ha tratto ispirazione: la c.d. Venere Medici; ha il braccio sinistro allineato al fianco e la mano posta sul pube a trattenere il ricco panneggio che circonda morbidamente la parte posteriore delle gambe gonfiandosi a mò di conchiglia ed esaltando completamente la sensualità del nudo prosperoso del corpo, che sembra nascere dalle pieghe stesse del tessuto; mentre il braccio destro rotto, doveva essere flesso al gomito e allungato sotto i seni, con la mano posta pudicamente sul seno sinistro, come è testimoniato dagli appoggi rimasti sul torace, sul braccio sinistro e sullo stesso seno; la voluttuosità che esprime la resa del corpo, abilmente sottolineato dall’effetto chiaroscurale delle singole parti, assimila questa donna più ad una mortale che ad una dea, dando l’immagine di un corpo “vivo”. Nel lato sinistro del panneggio si vede un piccolo delfino con la coda in alto e la testa rivolta verso il piede della dea a sottolineare la sua caratteristica di Anadiomene, “colei che sorge dalle acque”.
Dal 16 gennaio 1988 La Venere Landolina è esposta all’ammirazione dei visitatori, nella sede del Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”.