In marmo insulare, dall’isola di Naxos, come confermato da recenti indagini archeometriche, che ne indicano la probabile estrazione dalle cave di Apollonas, raffigura un giovane in pieno prospetto.
Acefalo, nella parte posteriore si conserva la parte terminale dell’acconciatura, con la massa plastica dei capelli divisa in lunghe trecce a piccole perle quadrangolari, raccolte e ripiegate, trattenute da una stretta fascia orizzontale. L’arcata epigastrica è resa come un solco ad angolo acuto, su una muscolatura trattata come una superficie rigida, priva di tensione. Stretta la vita, con piccola incisione in corrispondenza dell’ombelico. Aderente al corpo per la quasi totalità della lunghezza, con stretti setti di marmo non scalpellato, salvo nel tratto in corrispondenza del gomito, è il braccio sinistro, che termina con la mano chiusa a pugno, leggermente ruotata. Le due cosce sono piene e allungate, dalla muscolatura leggermente accennata, con la sinistra portata in avanti, rispetto alla destra di carico, sulla quale è incisa verticalmente una iscrizione, in alfabeto megarese, leggibile dall’alto verso in basso: essa identifica il giovane con il medico Sombrotidas, figlio di Mandrocle.
Si tratta della più antica attestazione su un documento greco di un medico pubblico: l’assenza di un etnico nell’epigrafe e nel contempo la mancata documentazione di una scuola medica in Sicilia hanno fatto ritenere Sombrotidas probabilmente immigrato in Megara, di cui ottenne la cittadinanza per pubblica benemerenza. Il patronimico, peraltro, rimanda al mondo ionico-asiatico.
Fu un giovane studente ad informare nel 1940 la Sovrintendenza di Siracusa del rinvenimento del kouros di Megara, fortuitamente venuto allo scoperto a seguito di uno smottamento del terreno causato dalle piogge invernali, in località Giannalena, sulla balza del pianoro che a sud sta di fronte il sito della città, in un’area occupata da una vasta necropoli. Forse il più noto di quel complesso di kouroi di origine votiva o funeraria restituitici da diverse località siceliote e magno-greche, per i quali la difficoltà di inquadramento storico-artistico è evidenziata dalle diverse ipotesi circa la loro origine, in modo particolare per quelle in marmo. La scarsa disponibilità di tale materia prima in occidente ne ha fatto sostenere l’importazione di opere già finite, o del marmo, poi lavorato in loco da scultori greci, ritenendo in seguito, via via che il numero delle opere, grazie all’ampliamento dei rinvenimenti e delle conoscenze, è aumentato, che si sia formata una scuola che abbia trasmesso alle maestranze locali la capacità e la perizia tecnica della lavorazione del marmo. Probabilmente, come affermato in uno studio recente, la rifinitura della statua, avvenuta in Sicilia, come attesta la profonda incisione dell’iscrizione, ha risparmiato i setti tra le braccia e le cosce, piuttosto che per scongiurare i rischi di un danneggiamento durante il trasferimento a destinazione dal luogo di produzione, per la precauzione di rifinire eccessivamente l’opera una volta lontana dalla fonte del marmo.
- Bernabò Brea, Kouros arcaico di Megara Hyblaea – La scultura, in Annuario della Scuola Archeologica Italiana di Atene, XXIV-XXVI (1946-48), pp. 59-68
- Langlotz, Die Kunst der Westgriechen im Sizilienund Unteritalien, Mϋnchen 1963
- P. Orlandini, Le arti figurative, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Megále Hellás, Milano 1983
- C. Rolley, La sculpture grecque, Paris 1994, pp. 299-300, fig. 14
- Kokkorou-Alewras, Die archaische naxische Bildhauerei, in Antike Plastik 24, Mϋnchen 1995, pp. 37-95