La scena che occupa la parte centrale del corpo del vaso raffigura un choròs di figure femminili: due gruppi di giovani donne (sette avanzano da sinistra verso destra e undici in senso contrario, una di esse con una figura più piccola in braccio) convergono verso una figura seduta su un diphros, che veste un abito stretto in vita da una fascia decorata da tratteggi incisi; un’altra simile, ma più larga, decora la veste all’altezza del seno.
Tranne la figura seduta e colei che apre la scena a sinistra, tutte indossano un chitone lungo ai piedi, lasciati scoperti e ben leggibili in tutte. Dalle spalle scende poi un mantello di varia lunghezza, più corto in alcune, mentre arriva ai piedi posteriormente in altre: davanti i due lembi sembrano, in talune, portati avanti dalle braccia intenzionalmente, quasi a nascondere il grembo.
La penultima e terz’ultima figura da destra sono in parte coperte da un unico manto, che sembrano recare in processione, aperto.
I choroi femminili sono un soggetto di cui la ceramica corinzia è ricchissima, offrendone una varietà di esempi, che costituiscono la classe dei Frauenfest , ovvero quei vasi di varia forma (kotylai, bottiglie, pissidi tra le più comuni) decorati con file di donne, giovani, adolescenti, spesso con bambini, alcune volte accompagnate da figure maschili, in processione, spesso recanti attributi di vario genere (corone, vassoi di offerte, strumenti musicali), nella maggior parte dei casi intesi come allusione ai cori femminili, accompagnati da danze.
Ritenuta da Amyx vicina allo Skating Painter, ad un attento esame risulta più una somiglianza tematica che non stilistica, piuttosto sembra più vicino il confronto con un’anfora di Philadelphia, da Vulci, attribuita da Amyx al Politis Painter.
Osservando le figure in processione nella pisside siracusana, tre sono le figure che hanno in mano degli attributi: la figura seduta e quella che le sta più vicino, alle spalle, hanno una lunga asta che a metà e nella parte terminale, in alto, ha un rigonfiamento. Si tratta di una conocchia, quel lungo bastone che regge in alto le fibre da filare con il fuso, ovvero l’asticella con le fuseruole, piena di filo, che porta in mano la seconda figura alle spalle della donna seduta. E’ Artemide, più di ogni altra, che le offerte di tessuti e attrezzi per filare e tessere richiamano, che nella veste di kourotrophos, è destinataria di offerte di vesti da parte di puerpere che hanno concluso felicemente una gravidanza. In tal senso viene interpretato l’epiteto di Chitonea o Chitone, con la quale in diverse località la dea era celebrata: tra queste Siracusa, dove era celebrata con danze accompagnate dal suono dell’aulos, vedeva le donne donare alla dea la tunica dopo un parto felicemente riuscito.
La presenza degli attributi legati alla tessitura, il manto retto dalle due figure alle spalle della dea, la piccola figura femminile portata in braccio, il curioso atteggiamento delle donne, le cui braccia sembrano tenere ampio in avanti il mantello, come a nascondere o per lo meno a non voler evidenziare la silhouette, quasi a voler celare un fisico appesantito dalla gravidanza, hanno fatto ritenere la piccola pisside siracusana una interessante documentazione di una cerimonia ricordata dalle fonti, ma per la quale non si conoscono simili attestazioni iconografiche.