Oggetto
Il Sarcofago di Adelfia
Inventario
Provenienza
Rinvenuto da Francesco Saverio Cavallari il 12 giugno 1872 in una fossa scavata nel suolo della rotonda, che dall’insigne reperto acquisirà il nome, al suo interno sono stati ritrovati i resti scheletrici di un solo individuo, deposti al di sopra di una sottile lastra in piombo.
Descrizione

Il sarcofago di Adelfia è il capolavoro dell’arte tardoantica non solo della città di Siracusa, ma di tutta la Sicilia.

E’ costituito da una cassa in marmo bianco composta da due pezzi, assicurati internamente da grappe, e da un coperchio. L’unica parte interessata dalle scene figurate è la fronte, mentre le testate e il retro non sono rifinite; nella sua collocazione originaria, perciò, doveva essere inserito all’interno di un arcosolio o di una nicchia.

Il reperto appartiene alla classe dei sarcofagi a doppio registro con l’immagine dei defunti racchiusa nel medaglione centrale ed è probabilmente il prodotto di un’officina romana. Le differenze stilistico-iconografiche, le minori dimensioni, la ripetizione di una scena già presente nella cassa e l’impego massiccio di una robusta malta legante per assicurarlo alla cassa fanno pensare al reimpiego, da parte dello sposo, del coperchio, databile invece ad età teodosiana.

Tredici sono le scene presenti nei due registri istoriati, cinque tratte dall’Antico Testamento e otto dal Nuovo Testamento, senza una precisa sequenzialità cronologica: è scardinato, così, il principio del fregio continuo della tradizione figurativa romana, alla quale si attinge ampiamente, sia nel repertorio delle immagini che nei modelli e negli schemi di tutto il sarcofago. Innumerevoli sono state e sono le interpretazioni delle scene bibliche; una lettura sintetica dell’apparato decorativo vede le opere di redenzione di Dio quali modelli di salvezza per i defunti cristiani deposti all’interno. È innegabile, altresì, che la selezione degli episodi raffigurati rispecchi, oltre la fede, volontà e gusti della committenza, come accade in quasi tutti i prodotti di questo genere.

Al centro, una grande valva di conchiglia racchiude i due sposi, rappresentati a mezzo busto. Alla sinistra la sposa, Adelfia, è adornata con una collana formata da due giri di perle e uno di pietre rettangolari, e un braccialetto cordonato con castone centrale al polso destro. I suoi capelli sono acconciati in trecce a mo’ di corona – in una classica capigliatura di età costantiniana i – con il braccio sinistro circonda le spalle del compagno, la mano destra, invece, teneramente gli si appoggia al braccio.

Lo sposo ha il viso girato per tre quarti verso Adelfia, i capelli corti e aderenti al capo, è senza barba e regge con la mano sinistra un rotolo, mentre l’altra mano compie il tipico gesto della parola: due dita sono tese e le altre chiuse, quasi a voler dire qualcosa alla moglie, alla quale si rivolge con sguardo comunicativo.

Il coperchio è una lastra reimpiegata all’interno grossolanamente scalpellata con tracce di una originaria decorazione a rilievo con elementi vegetali e volatili. Si notano immediatamente la mancata simmetria delle scene figurate rispetto a quelle della cassa sottostante e una qualità artistica meno pregevole.

Varie sono state le interpretazioni per comprendere chi fosse il comes Valerio, marito della defunta. Un’ipotesi ormai decaduta vuole sia un rappresentante della nobile famiglia senatoria degli Aradii, il Lucius Valerius Aradius Proculus Populonius, consularis Siciliae fra il 325 e il 330 d.C., forse lo stesso proprietario della villa di Piazza Armerina. Nuove indagini archeologiche, condotte nel contesto di rinvenimento del sarcofago, hanno ben delineato una serie di trasformazioni architettoniche e monumentali avvenute lungo il corso del IV secolo che hanno spostato la cronologia di riferimento per l’identificazione del personaggio.

L’ultima lettura vuole sia quel comes Valerius – un uomo forse impegnato nel combattere, in Sicilia, le cellule di eresia che si scontravano duramente con un Cristianesimo in via di sviluppo – cui Agostino, nel 419, dedica un suo trattato. Avvalorano questa ipotesi l’esplicita iconografia del sarcofago, che esalta la fede della coppia di sposi; la cronologia fornitaci dalle fonti e, soprattutto, la perfetta aderenza fra la data del 421 d.C., relativa alla sua carica di comes in Occidente, e l’ultima fase di trasformazione monumentale della rotonda, effettuata nei primi decenni del V secolo d.C.

Ad oggi, invece, appare ancora sfumata la figura della nobile Adelfia: non sappiamo che ruolo avesse nella vita sociale del suo tempo, né il perché di una sepoltura così sontuosa che ha modificato l’assetto di un intero settore del cimitero comunitario, dotandolo di caratteri di assoluto privilegio e di chiara grandiosità.

Decorazione

Al centro del coperchio campeggia l’iscrizione (n. 2), incisa e inserita in una tabula ansata risparmiata nel colore del marmo su fondo dipinto in rosso, in latino, su tre linee:

IC ADELFIA C F

POSITA CONPAR

BALERI COMITIS

(H)ic Adelfia c(larissima) f(emina) / posita conpar / Baleri comitis

«Qui è deposta Adelfia, donna illustrissima, moglie del conte Valerio».

Le figure istoriate nella cassa e nel coperchio erano ravvivate da una vivace policromia di rozzi e vistosi pigmenti colorati; è ancora leggibile, nel registro superiore, una decorazione floreale negli spazi lasciati vuoti dalle scene scolpite.

Materiale/tecnica
Marmo bianco scolpito
Stato di conservazione
Misure
La cassa è larga m 2,07, alta m 0,69 e larga m 0,85 circa; il coperchio m 2 x 0,81, con uno spessore di 20 cm circa.
Fabbrica
Attribuzione
Cronologia
Databile in tarda età costantiniana o, più in generale, al secondo venticinquennio del IV secolo d.C
Attuale collocazione
Bibliografia
Mostre