Modellino di imbarcazione dalla prua a testa di pistrice, con il mostro rappresentato a muso aperto, grandi occhi sporgenti, orecchie aguzze e la cresta mediana, e la poppa, desinente in una lunga coda di pesce tirata in alto. La barca, ampia e tondeggiante, mostra la carena profilata all’esterno, segnata dal solco di giunzione, all’interno: qui siedono 5 rematori residui con i volti modellati a muso di cane, disposti su due lati ed è riconoscibile il sediolino del sesto, andato perduto; in centro è visibile la scassa per il piede dell’albero, costituita da un cilindretto cavo a rilievo, decentrato verso prua, come nella realtà. Quattro piccoli speroni sono aggettanti alle estremità dello scafo. Su una delle fiancate restano tracce di decorazione dipinta a fascia bruna con un tralcio sinuoso sovraddipinto in bianco.
In tutto, si conoscono una ventina di questi modellini di imbarcazione, provenienti, in gran parte, dal mondo siceliota d’influenza siracusana e datati tra il III ed il II sec. a.C. É verosimile che queste barchette fossero fabbricate a Siracusa, per le caratteristiche comuni di argilla e colori dei vari esemplari, e perché presenti tra gli scarti di fornaci della città. Rinvenute soprattutto in contesti funerari, sono state segnalate anche in ambiti di destinazione votiva.
Varie le interpretazioni sul loro significato: sono state spiegate come oggetti deposti per il loro valore reale e dunque il proprietario-defunto doveva essere un marinaio o qualcuno che esercitava attività connesse alle imbarcazioni. Sono state interpretate come giocattoli; è stato sottolineato il valore simbolico, collegato al trasporto dell’anima nel mondo dell’oltretomba, nell’ambito del culto di Iside-Persefone, con particolare attenzione al mondo dell’Egitto di epoca ieroniana. Di recente si è aggiunta un’altra ipotesi, che vede un riferimento a fatti mitici e letterari, anche lontani nel tempo, secondo cui è inutile cercare la matrice di questa forma d’imbarcazione, riconducibile al tipo commerciale con la vela, ma anche a quello militare, con i rematori. Si tratta di un oggetto di fantasia, dove la prua con il muso di coccodrillo e le orecchie e la criniera irsuta di cinghiale rappresentano un animale fantastico ma non originale, che si ritrova quasi identico in raffigurazioni vascolari di VII e VI secolo di navigazioni mitologiche ed eroiche. Può quindi essere interpretato come un giocattolo, che stava bene nella tomba di una bambina, ma animato dal racconto di un adulto in riferimento a storie popolari rielaborate, così come avviene con il teatrino dei pupi siciliani e i racconti dei paladini di Francia.
- B. Basile, Modellini fittili di imbarcazioni della Sicilia orientale, in Atti della IV Rassegna di archeologia subacquea, (Giardini Naxos 1989), Messina 1991, pp. 14-16
- B. Basile, Modellini fittili di imbarcazioni della Sicilia orientale, in BASub, 1993, pp. 69-101
- B. Basile, Indagini nell’ambito delle necropoli siracusane, in Kokalos XXXIX-XL, II.2, 1993-1994, pp. 1319
- Basile, Il Fusco: la ricerca archeologica, in B.Basile, S.Chilardi (a cura di), Le ossa dei giganti, Palermo 1996, p. 9, fig. 6
- A. Crispino, in Archimede, Arte e Scienza dell’invenzione, Catalogo Mostra, Roma, Musei Capitolini (maggio 2013- gennaio 2014), 2013, p. 204, scheda I.4.1.
- A. Gianfrotta, Barchette fittili siceliote e prove d’immaginarie navigazioni, in TopAnt 3, 2014, pp. 183-193.